Nel mondo del lavoro in continua trasformazione, termini come upskilling e reskilling sono diventati centrali in ogni strategia HR. Le aziende sanno di dover preparare le proprie persone ad affrontare ruoli nuovi, tecnologie emergenti e modelli organizzativi flessibili. Ma nonostante le buone intenzioni, molte iniziative formative falliscono o risultano poco efficaci. Il motivo? Si parte troppo spesso da ipotesi e non da dati oggettivi.
Per costruire percorsi di upskilling e reskilling realmente efficaci, serve prima di tutto una valutazione precisa e affidabile delle competenze attuali. Solo così è possibile capire dove investire, quali gap colmare e come accompagnare le persone in una transizione professionale coerente, sostenibile e di valore.
Con upskilling si intende l’acquisizione di nuove competenze per svolgere meglio il proprio ruolo attuale. Il reskilling, invece, riguarda l’apprendimento di competenze necessarie per svolgere un ruolo diverso, a volte completamente nuovo. Entrambi i processi sono oggi fondamentali per affrontare il cambiamento tecnologico, la digitalizzazione e la transizione verso modelli organizzativi più agili.
Ma per essere credibili, questi percorsi devono rispondere a bisogni reali. Offrire lo stesso corso a tutta la popolazione aziendale o basare le scelte solo sul ruolo attuale non è più sufficiente. Le persone hanno background, velocità di apprendimento e potenzialità diverse. Senza una mappatura accurata delle competenze, ogni sforzo formativo rischia di essere inefficace o poco rilevante.
La vera sfida non è “quale formazione aziendale offrire”, ma a chi e su cosa serve davvero quella formazione. È qui che entra in gioco la valutazione oggettiva delle competenze. Poter contare su dati chiari e standardizzati permette alle aziende di:
Valutare le competenze significa anche dare alle persone un segnale forte: “ti vediamo, investiamo su di te, vogliamo aiutarti a crescere”. Questo rafforza il senso di appartenenza, migliora l’engagement e contribuisce in modo concreto alla reputazione interna dell’azienda.
Non a caso, lo skill assessment rappresenta una leva potente per rafforzare l’employer branding attraverso la valorizzazione delle competenze, a partire da ciò che le persone vivono ogni giorno in azienda.
Uno degli errori più comuni nei progetti di upskilling e reskilling è quello di proporre formazione senza una reale connessione con gli obiettivi strategici o con le esigenze individuali. Il rischio è duplice: da un lato, si disperdono risorse in percorsi poco utili; dall’altro, si genera frustrazione nei partecipanti, che non percepiscono il valore concreto di ciò che stanno facendo.
Al contrario, partire da una valutazione oggettiva consente di orientare gli investimenti verso ciò che conta davvero. In questo modo, l’apprendimento diventa funzionale, mirato, misurabile. E, soprattutto, genera impatto reale sul business e sulla crescita delle persone.
Una valutazione ben strutturata aiuta anche a distinguere tra competenze tecniche, comportamentali e potenziale evolutivo, fornendo una base completa per decidere come e dove intervenire. Non si tratta solo di misurare “ciò che manca”, ma anche di valorizzare ciò che c’è, stimolare la crescita e rendere visibile il talento nascosto.
Un aspetto spesso trascurato nei programmi di upskilling e reskilling è il coinvolgimento attivo dei dipendenti. Troppo spesso la valutazione delle competenze viene percepita come un processo “subìto” o un requisito formale, scollegato dalla realtà quotidiana. Questo approccio rischia di ridurre l'efficacia dell’intervento formativo e di generare resistenze.
Per costruire percorsi efficaci e sostenibili, è fondamentale rendere le persone protagoniste del proprio sviluppo. Quando il processo di skill assessment è trasparente, chiaro nei criteri e restituisce un feedback utile, le persone diventano più consapevoli delle proprie aree di forza e di miglioramento. Questo le aiuta a prendere decisioni più informate, ad assumersi la responsabilità del proprio apprendimento e a sentirsi valorizzate.
Coinvolgere i dipendenti anche nella definizione degli obiettivi di sviluppo o nell’analisi dei risultati della valutazione permette inoltre di rafforzare il dialogo tra HR, manager e collaboratori, creando un clima di fiducia e di crescita continua. In questo modo, lo skill assessment non è solo un punto di partenza tecnico, ma anche uno strumento culturale, che rafforza l’autonomia e la motivazione delle persone.
Per farlo in modo efficace, è essenziale anche formare i recruiter alla valutazione in modo più strutturato e oggettivo, così da garantire coerenza, equità e valore nell’intero processo.
Skillvue offre strumenti pensati per supportare le aziende in ogni fase del processo di valutazione, con soluzioni basate su intelligenza artificiale e modelli comportamentali validati. Gli Skill Assessment Agent permettono di rilevare in modo oggettivo competenze tecniche e soft skill, attraverso conversazioni simulate e test personalizzabili in base ai ruoli e al contesto aziendale.
Grazie a report chiari, punteggi comparabili e insight aggregati, HR e manager possono disporre di una base dati strutturata da cui far partire ogni decisione formativa. Non solo: il team di Skillvue può collaborare con le aziende per costruire modelli di competenza ad hoc e allineare gli assessment ai framework interni, garantendo coerenza e rilevanza.
In questo modo, lo skill assessment non è solo un punto di partenza, ma un acceleratore strategico per percorsi di upskilling e reskilling che generano reale valore.
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