Career path: come (e perché) crearlo in azienda

Il tema dei career path è diventato, negli ultimi anni, una delle leve strategiche più importanti per chi si occupa di HR e People Development. 

Per molto tempo, infatti, parlare di percorso di carriera è stato associato perlopiù a questioni  di “benefit” o di branding. Al contrario, oggi questi aspetti riguardano direttamente retention, produttività e sostenibilità organizzativa.

I dati lo confermano: secondo il 2025 Retention Report del Work Institute, la prima causa di dimissioni volontarie negli Stati Uniti è l’area “Career”, ovvero mancanza di sviluppo, possibilità di avanzamento e percorsi di crescita chiari. Pensa che, secondo il report, questa categoria pesa per il 18,9% del turnover totale, più di compensazione, work-life balance o motivazioni manageriali.

Il quadro non è molto diverso in Europa: anche nel nostro continente, la mancanza di prospettive di crescita interna è uno dei principali motivi di abbandono.

Il career path, quindi, diventa una leva strategica per trattenere talenti ad alto potenziale, creare equità interna e abbassare drasticamente turnover e quiet quitting.

Cos’è un career path?

Un career path è una mappa che descrive come una persona può crescere all’interno dell’organizzazione nel breve, medio e lungo periodo.

Possiamo definirlo un sistema che spiega:

  • quali competenze servono per progredire;
  • quali livelli o step esistono all’interno di un ruolo;
  • quali opportunità laterali (job rotation, cambi di funzione) sono possibili;
  • quali comportamenti e risultati attesi definiscono l’avanzamento;
  • quali percorsi di sviluppo (formazione, mentoring, progetti) accelerano la crescita.

Per un HR, il career path rappresenta uno strumento fondamentale per allineare tre elementi critici:

  1. esigenze dell’organizzazione, ovvero capire quali ruoli servono, quali skill saranno strategiche;
  2. performance e potenziale delle persone, ovvero definire chi può crescere, con quali tempistiche;
  3. aspettative dei collaboratori, ovvero capire cosa desiderano e quali percorsi percepiscono come realistici.

Il risultato è un sistema che rende la crescita trasparente, misurabile e spiegabile, riducendo il rischio di scelte arbitrarie o percepite come ingiuste.

Perché ogni azienda dovrebbe garantire un career path (e cosa succede quando non c’è)

Molte dimissioni non sono causate da un senso di frustrazione immediata all’interno di un ruolo, ma da una percezione molto semplice:  “Qui dentro non so come potrei crescere.”

Per questo motivo, un career path serve sia per costruire una visione relativa a mission e valori del tuo brand, sia per definire in modo specifico gli obiettivi legati ad ogni ruolo e funzione.

Ci sono diversi motivi per integrare i percorsi di carriera in azienda: vediamoli insieme.

1. Retention e riduzione del turnover

Quando un collaboratore non vede uno sviluppo chiaro, inizia a guardare all’esterno.
Come abbiamo detto, il  Work Institute 2025 Retention Report conferma che i motivi legati a “Career” sono la prima causa di dimissioni volontarie negli USA (18,9%),  più rilevanti della paga, del benessere o del rapporto col manager.

Il turnover è uno dei costi invisibili più elevati da gestire, perché obbliga l’azienda a ripartire da zero su più fronti contemporaneamente per gestire:

  • costi di recruiting (annunci, screening, colloqui, prove tecniche, tempo dei manager;
  • costi di onboarding (formazione, affiancamento, rallentamenti nei team);
  • perdita di competenze tacite (quelle non documentate, ma fondamentali per operare in autonomia);
  • perdita di continuità nei progetti;
  • rischio di sovraccarico per chi resta, spesso causa di ulteriori dimissioni.

Un career path ben progettato riduce in modo drastico l’uscita dei talenti, perché dà una visibilità sul futuro, una direzione chiara, aspettative esplicite e criteri comprensibili per crescere.

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2. Engagement e motivazione

Le persone non vogliono solo “fare bene il proprio lavoro”.
Vogliono sapere:

  • qual è il passo successivo;
  • cosa serve per raggiungerlo;
  • se qualcuno sta investendo nella loro crescita.

Un career path permette di trasformare feedback generici (“devi crescere in leadership”) in piani più concreti basati su skill, comportamenti e milestone misurabili.

3. Pianificazione del talento e sostenibilità organizzativa

Senza un sistema chiaro di crescita è difficile individuare chi ha il potenziale per ruoli di responsabilità. Senza pensare che, senza una strategia e una visione chiari,  le promozioni rischiano di diventare episodiche o “emergenziali” e l’HR perde visibilità sulle skill future necessarie.

Con un career path strutturato, invece, l’organizzazione può costruire un pipeline interna di talenti e ridurre

drasticamente i costi legati a recruitment esterno, onboarding e mismatch di ruolo.

4. Equità, meritocrazia e trasparenza

Uno dei problemi più frequenti nelle aziende è la percezione di ingiustizia:
“Perché lui è stato promosso?”
“Quali criteri avete usato?”
“Cosa devo dimostrare per crescere?”

Il career path elimina l’ambiguità e riduce i bias, perché definisce criteri oggettivi per avanzare, comportamenti osservabili, skill richieste per ogni livello, percorsi chiari e misurabili.

5. Supporto alle nuove normative sulla trasparenza salariale

Dal 2026 (Direttiva UE 2023/970), anche in Italia la trasparenza salariale sarà realtà. Tra i diversi adeguamenti che la legge richiede, c’è anche quello di dimostrare che progressioni di carriera, scatti retributivi e differenze salariali derivino da criteri misurabili e neutrali rispetto al genere. 

Per saperne di più sulla trasparenza salariale, puoi rivedere il nostro webinar “Verso la trasparenza salariale: il ruolo degli assessment nell’adeguamento alle nuove normative”. Lo trovi a questo link.

Tornando al nostro career path, crearne uno strutturato diventerà quindi non solo utile, ma necessario per essere compliant.

Come costruire un career path efficace: il metodo in 6 step

Un career path funziona solo se è agganciato alla realtà organizzativa: ecco un metodo in 6 step che puoi adattare alla tua azienda.

1. Definisci la job architecture aziendale

Il primo passo è costruire la struttura su cui poggerà tutto il career path: la job architecture. Se non hai una mappa chiara dei ruoli, dei livelli e delle famiglie professionali, ogni percorso di carriera rischia di diventare astratto o incoerente. 

La tua job architecture dovrà identificare chiaramente:

  • ruoli (le posizioni effettive);
  • livelli professionali (junior, intermediate, senior, lead, manager);
  • famiglie professionali (es. HR, Tech, Sales, Finance)

Una volta definito questo scheletro, costruire un career path diventa molto più semplice perché il percorso riflette la struttura dell’azienda invece di inventarla da zero.

2. Costruisci il modello di competenze su cui si baserà il percorso

Una volta definita l’architettura dei ruoli, puoi rispondere alla domanda successiva, ovvero:
“Che cosa deve saper fare davvero una persona per avere successo in questo ruolo e al livello successivo?”

Per rispondere, puoi partire dal tuo modello di competenze, che per essere utile deve includere:

  • hard skill: conoscenze e capacità tecniche specifiche del ruolo: strumenti, metodologie, linguaggi, processi. Ad esempio, “conoscenza avanzata di ATS”, “gestione campagne performance marketing”, “analisi dati finanziari”;
  • soft skill: competenze trasversali che impattano sul modo di lavorare: comunicazione, collaborazione, gestione del tempo, problem solving, adattabilità;
  • competenze manageriali, relative a i ruoli di coordinamento o leadership: delega, gestione del feedback, coaching, decision making, gestione del conflitto, visione;
  • comportamenti attesi: sono la parte più importante e più spesso sottovalutata: come queste competenze si manifestano nella pratica. Ad esempio, non “orientamento al risultato” in astratto, ma: “rispetta le scadenze”, “definisce KPI chiari”, “monitora con regolarità gli avanzamenti”.

3. Mappa i livelli di padronanza richiesti

A questo punto hai a disposizione ruoli, livelli e competenze.

Manca un pezzo fondamentale per il career path: “quanto bene” una competenza deve essere espressa in ogni livello.

Per rispondere, puoi utilizzare il concetto di livelli di padronanza, ovvero una scala che definisce in modo chiaro e osservabile la maturità con cui una persona esprime una competenza. 

Il modello più diffuso è strutturato su quattro livelli:

  • beginner: applica conoscenze e procedure di base, ha bisogno di guida frequente;
  • intermediate: gestisce in autonomia la maggior parte delle attività, chiede supporto solo su casi complessi;
  • advanced: anticipa problemi, migliora processi, supporta i colleghi meno esperti;
  • expert: influenza le decisioni strategiche, innova, trasferisce competenze all’intero team.

La parte davvero importante è che ogni livello venga definito tramite comportamenti osservabili e non tramite descrizioni astratte.


Per capire ancora meglio, facciamo un esempio per la competenza “Gestione del tempo” in un contesto HR:

  • chi si trova al livello beginner ha bisogno di supporto per pianificare le attività, tende a sottostimare le tempistiche, rispetta le scadenze solo in condizioni stabili;
  • chi si trova al livello intermediate sa pianificare in autonomia la settimana di lavoro, rispetta la maggior parte delle scadenze e segnala in anticipo eventuali criticità;
  • chi si trova al livello advanced gestisce più progetti contemporaneamente, riorganizza le priorità in base all’urgenza, aiuta il team a rispettare deadline complesse;
  • infine, chi si trova al livello expert progetta e ottimizza i flussi di lavoro del team, anticipa colli di bottiglia, introduce strumenti o processi per migliorare l’efficienza complessiva.

4. Stabilisci criteri di avanzamento chiari e misurabili

Avere competenze e livelli non basta: serve dichiarare cosa deve accadere esattamente perché una persona possa passare da un livello all’altro.

Un criterio di avanzamento efficace combina quattro elementi:

  • obiettivi raggiunti (KPI, risultati, contributo al team);
  • skill acquisite (nuove competenze tecniche o soft consolidate);
  • comportamenti osservabili (autonomia, gestione delle complessità, impatto);
  • formazione/esperienze chiave (corsi, progetti cross-funzionali, mentorship)

Più questi criteri sono espliciti, più aiuti i manager a giustificare (e difendere) le loro scelte e dai alle persone una risposta chiara rispetto al cosa gli viene richiesto per crescere in azienda.

5. Collega career path e compensation

La crescita professionale deve sempre avere una ricaduta economica chiara.

Le persone non vogliono solo sapere come possono crescere, ma anche cosa cambia in termini di retribuzione quando raggiungono un nuovo livello di responsabilità o padronanza.

Per questo è fondamentale costruire un collegamento diretto tra livelli del percorso di carriera, fasce retributive associate e criteri oggettivi che determinano uno scatto economico.

Questo lavoro non serve solo per coerenza interna: con la nuova Direttiva UE sulla trasparenza salariale, diventerà obbligatorio dimostrare che progressioni e differenziali retributivi seguono logiche trasparenti, misurabili e neutrali rispetto al genere.

6. Comunica e rendi accessibili i percorsi

Un career path non serve a nulla se rimane in una cartella aziendale o in un PDF di 40 pagine.
Il consiglio è, dunque, di coinvolgere le persone rendendo i percorsi accessibili. Possiamo riassumere questo concetto in tre priorità:

  • accessibilità: il percorso deve essere disponibile su intranet, portale HR o tool dedicato;
  • chiarezza visiva: meno testo, più schemi, esempi, percorsi reali;
  • formazione dei manager: sono loro a renderlo vivo attraverso feedback, one-to-one e performance review.

Come Skillvue supporta la creazione e gestione dei career path

Skillvue combina scienze psicometriche avanzate e AI proprietaria per valutare competenze tecniche, soft skill e potenziale in modo oggettivo, rapido e scalabile.

Con uno Skill Assessment di pochi minuti, l’azienda ottiene una fotografia chiara e standardizzata del profilo di ogni collaboratore grazie a:

  • domande situazionali basate sulla metodologia BEI (Behavioural Event Interview), che raccolgono evidenze comportamentali reali;
  • test tecnici per le hard skill, con oltre 150+ skill test pronti all’uso o personalizzabili secondo il tuo modello di competenze;
  • valutazioni su leadership, problem solving, intelligenza emotiva, responsabilità, collaborazione e molte altre competenze trasversali;
  • indicatori sul potenziale e sulla capacità di assumere ruoli di maggiore complessità.

Ciò si traduce, per te e per l’azienda, nell’avere finalmente dati affidabili per:

  • definire i livelli di padronanza all’interno dei career path;
  • collegare competenze ↔ progressioni di carriera in modo chiaro e trasparente;
  • individuare gap reali per pianificare percorsi di formazione e sviluppo coerenti;
  • supportare mobilità interna, job rotation e upskilling basati su evidenze, non su percezioni;
  • eliminare bias e rendere le valutazioni spiegabili, difendibili e coerenti con i criteri di crescita aziendali.

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